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Questo capitolo, vuole essere solo un riferimento essenziale alla definizione di uno stile letterario e il contenitore di una piccola raccolta di regole, che dovrebbero semplificare la vita di chi scrive documenti elettronici.
L'autore di questo documento non ha una competenza specifica su questo problema; tuttavia, è importante almeno affrontare l'argomento sottolineando alcuni concetti importanti.(1)
Il concetto di stile letterario potrebbe essere espresso semplicemente spiegando l'esigenza di realizzare un documento uniforme: sia dal punto di vista visivo, sia dal punto di vista espressivo. Questo coinvolge quindi l'aspetto grammaticale (ortografia, sintassi, lessico, ecc.) e l'aspetto tipografico (impaginazione, tipi di carattere, dimensione, ecc.) o artistico.
L'esigenza di un'uniformità visiva deriva dal piacere e dal rilassamento che può dare al lettore un documento impaginato e strutturato in un modo ordinato e chiaro, per la facilità nella lettura che ne deriva. Nello stesso modo è importante l'uniformità grammaticale, cosa particolarmente delicata in una lingua come la nostra in cui sono consentite molte variazioni, data la varietà linguistico-culturale delle varie regioni.
Il novello scrittore di documentazione tecnica, che scrive e impagina senza l'aiuto di un editore, tende a comprendere l'esigenza di uno stile tipografico, dimenticando che esiste anche uno stile espressivo-grammaticale.
Il problema dell'uniformità stilistica si accentua quando si deve collaborare alla realizzazione di un progetto letterario. L'uniformità non è più solo un fatto di coerenza personale, ma di coerenza complessiva di tutto il gruppo.
La coordinazione dei vari collaboratori è un problema delicato e diviene essenziale la stesura di uno standard letterario complessivo. Alle volte questo ferisce la sensibilità di alcuni collaboratori e genera discussioni senza fine e senza soluzione.(2)
Il modo migliore per definire uno stile grammaticale è lo studio su un testo di grammatica. Qui si vogliono solo raccogliere alcuni punti essenziali che non possono essere ignorati. In effetti, il tipico autore di testi a carattere tecnico, specialmente quando non si tratta di un'attività professionale remunerata, ha un'ottima conoscenza dell'argomento trattato e una pessima padronanza della lingua.
La punteggiatura si compone di quei simboli che consentono di separare le parole e di delimitare le frasi.
Ogni parola è separata da un solo spazio.
Tipograficamente, lo spazio è una separazione di ampiezza non definita, spesso ampliato o compresso, per ottenere un allineamento del testo sia a sinistra che a destra. Un autore non deve pensare a queste cose quando scrive la propria opera; si deve limitare a spaziare le parole con un solo carattere spazio.(3)
La dattilografia insegnava a ottenere testi allineati a sinistra e a destra con l'inserzione opportuna di spazi aggiuntivi, vicino alle parole composte da poche lettere (congiunzioni, articoli, ecc.). Questo tipo di tecnica è ormai da abbandonare, lasciando semmai che siano i programmi di composizione a prendersi cura di questi problemi, anche quando il risultato finale deve essere un file di testo puro e semplice.
I programmi di composizione più evoluti facilitano il compito dello scrittore eliminando gli spazi superflui, per cui con questi non c'è l'esigenza di porre attenzione alla dimensione delle spaziature.(4)
I simboli di punteggiatura normale sono attaccati alla parola che precede e separati con uno spazio dalla parola che segue.
Si tratta di: punto, virgola, due punti, punto e virgola, punto interrogativo e punto esclamativo.
Alle volte, l'autore di documenti tecnici di informatica si lascia confondere dall'uso che si fa di tali simboli in un particolare linguaggio di programmazione o in altri ambiti analoghi. È chiaro, per esempio, che se si deve indicare un'estensione di un file, come «.sgml», non si può rispettare tale regola, ma il punto che precede quell'estensione non rappresenta un simbolo di punteggiatura del testo.
Le parentesi sono attaccate al testo che racchiudono e, rispetto alla punteggiatura esterna, si comportano come un'unica parola.
La parentesi di apertura è separata con uno spazio dalla parola che precede, mentre quella di chiusura è separata con uno spazio dalla parola che segue. I simboli di punteggiatura normale che dovessero seguire una parentesi chiusa vanno attaccati a questa ultima.
Nella lingua italiana non è consentito racchiudere all'interno di parentesi un periodo terminante con il punto fermo. Questa modalità è tipica della lingua inglese e i traduttori devono tenerne conto, al limite togliendo le parentesi nella frase tradotta.
Il testo riportato tra virgolette si comporta come quello racchiuso tra parentesi.
La lingua italiana prevede l'uso di virgolette uncinate (in basso), virgolette elevate doppie e singole. Secondo la grammatica, le virgolette uncinate, o virgolette basse, sono da preferire. Tuttavia, dal momento che le virgolette elevate possono essere ottenute anche utilizzando soltanto il codice ASCII tradizionale a 7 bit, molti autori preferiscono accontentarsi e utilizzare solo quelle elevate.(5)
Il trattino di unione è corto e unito alle parole da collegare.
Si usa per unire insieme due parole in modo da formare una parola composta. I programmi di composizione tendono a considerare un trattino singolo come un trattino corto, proprio per questo scopo.
La lineetta, o trattino lungo, serve per introdurre un discorso diretto, oppure un inciso.
Il trattino utilizzato per delimitare un discorso diretto, viene usato normalmente solo in apertura. Può apparire anche un trattino in chiusura quando al discorso diretto segue un commento. Se il trattino si usa per delimitare un inciso, si usa per aprirlo e solitamente anche per chiuderlo, come se si trattasse di parentesi.
Generalmente, il trattino lungo è preceduto e seguito da uno spazio; davanti al trattino di chiusura vanno collocati il punto interrogativo, il punto esclamativo e i puntini, mentre per gli altri simboli di punteggiatura non esiste una convenzione precisa.(6)
L'uso della punteggiatura nella lingua italiana è definito da regole molto vaghe che si prestano a facili eccezioni di ogni tipo. Qui si elencano solo alcuni concetti fondamentali.
,
La virgola è un segno di interpunzione che collega due segmenti di testo separati da un pausa debole.
;
Il punto e virgola è un segno di interpunzione che si colloca a metà strada tra la virgola e il punto. Non segna la chiusura di un periodo.
:
I due punti sono un simbolo di interpunzione esplicativo. Collegano due segmenti di testo separati dal punto di vista sintattico, in cui la seconda parte, quella che segue il simbolo, elenca, chiarisce o dimostra il concetto espresso nella prima parte.
.
Il punto fermo è un segno di interpunzione che collega due segmenti di testo separati da un pausa forte. Generalmente segna la conclusione di un periodo. La parola successiva al punto ha l'iniziale maiuscola.
!
Il punto esclamativo indica generalmente la conclusione di un'esclamazione affermativa. Generalmente, quando conclude un periodo, il testo che segue ha l'iniziale maiuscola.
?
Il punto di domanda indica un tono interrogativo alla fine di una frase. Generalmente, quando conclude un periodo, il testo che segue ha l'iniziale maiuscola.
...
I punti di sospensione sono in numero fisso di tre e indicano che il discorso non viene portato a conclusione. Generalmente, sono uniti alla parola o al segno di interpunzione che li precede, oppure distanziati, a seconda che siano solo una sospensione oppure indichino l'omissione di un nome o di un'altra parola.
Se si trovano alla fine di un periodo, dove andrebbe collocato un punto, questo non viene aggiunto e la frase successiva inizia con la maiuscola. Nello stesso modo, se si trovano alla fine di un'abbreviazione che termina con un punto, questo punto viene assorbito.
ecc.
Il punto di abbreviazione, quando si trova alla fine di un periodo, conclude da solo anche il periodo stesso, ed è seguito da iniziale maiuscola.
( )
Le parentesi, generalmente tonde, servono per delimitare un inciso, come un commento, una nota dello scrivente, un chiarimento, ecc. Generalmente, i commenti del redattore o del traduttore sono terminati, entro l'ambito delle parentesi, con le sigle NdR (nota del redattore) e NdT (nota del traduttore).
Nella lingua italiana scritta, l'uso degli accenti è un fatto puramente convenzionale. Ciò significa che l'accento non indica necessariamente il suono che ha effettivamente la lettera accentata, ma solo la sua rappresentazione consueta (più avanti, nella sezione 221.2.4 è riportato il testo originale della norma UNI 6015 sul «segnaccento obbligatorio»).(7)
Nella lingua scritta è prevista (ed è obbligatoria) solo l'accentazione delle vocali finali delle parole nelle quali il tono della voce si rafforza sull'ultima sillaba (accento grafico).
È possibile l'uso dell'accento per le vocali interne quando ciò serva per togliere ambiguità tra termini omografi (scritti nello stesso modo) che abbiano significati differenti. Generalmente, questa ambiguità è risolta dal contesto e raramente si incontra la necessità di utilizzare accenti interni.
Si utilizza comunemente solo l'accento grave (àèìòù), con l'eccezione della vocale «e» che può avere l'accento acuto (é).
Vogliono l'accento acuto le parole terminanti in ché (perché, poiché, ecc.), oltre a né (congiunzione) e sé (pronome tonico). In particolare, sé viene scritto generalmente senza accento quando è seguito da stesso, anche se la grammatica non lo richiede.
Vogliono l'accento alcuni monosillabi contenenti due vocali: ciò, già, giù, più e può.
Vogliono l'accento i monosillabi che senza potrebbero avere un significato differente. La tabella 221.1 mostra l'elenco dei monosillabi accentati più importanti.
Non vogliono l'accento alcuni monosillabi tra cui: qui, qua, sto e sta.
Solo alcune parole tronche richiedono la segnalazione di tale troncamento con l'apostrofo finale. In particolare: po' (poco), mo' (modo), ca' (casa) e alcuni imperativi.
L'accento circonflesso (^) non si usa più. Serviva per i nomi terminanti in -io che al plurale terminerebbero in -ii (per esempio: armadio, armadii). Attualmente, si tende a usare questi plurali con una sola -i finale, a parte i casi in cui ciò genera ambiguità (assassino, assasini; assassinio, assassinii).
Tabella 221.1. Elenco dei monosillabi accentati più importanti e dei loro equivalenti (omografi) non accentati.
dà | indicativo di dare (dà valore) | da | preposizione (da voi) |
è | verbo | e | congiunzione |
là | avverbio (resta là) | la | articolo |
lì | avverbio (vado lì) | li | pronome |
né | congiunzione (né questo né quello) | ne | pronome (ne voglio ancora) |
sé | pronome tonico (pieno di sé) | se | pronome atono o congiunzione |
sì | avverbio (dice di sì) | si | pronome |
Alle volte, l'uso delle vocali accentate può creare problemi tecnici, dovuti alla loro mancanza nell'insieme di caratteri a disposizione. In Italia, come nei paesi dell'Europa centrale, si utilizza la codifica ISO 8859-1 (Latin 1) che contiene tutte le nostre lettere accentate. Nelle circostanze in cui ciò non è attuabile (per esempio quando si dispone di un sistema configurato male, o la tastiera non dispone dei simboli necessari), occorre utilizzare delle tecniche di rappresentazione che dipendono dal programma utilizzato per la composizione.
SGML e XML, comprendendo in queste categorie anche HTML e XHTML, dispongono di una serie di entità standard, a cui corrispondono in particolare le macro elencate nella tabella 221.2.
Tabella 221.2. Vocali accentate attraverso l'uso di macro SGML e XML.
Vocale accentata | Macro corrispondente |
à, À | à, À |
è, È | è, È |
ì, Ì | ì, Ì |
ò, Ò | ò, Ò |
ù, Ù | ù, Ù |
é, É | é, É |
TeX (e di conseguenza LaTeX) dispone di una serie di codici elencati nella tabella 221.3.
Tabella 221.3. Vocali accentate per TeX.
Vocale accentata | Codice TeX corrispondente |
à, À | \`a, \`A |
è, È | \`e, \`E |
ì, Ì | \`{\i}, \`I |
ò, Ò | \`o, \`O |
ù, Ù | \`u, \`U |
é, É | \'e, \'E |
Lout dispone del comando @Char per indicare simbolicamente i segni tipografici che per qualche ragione non possono essere scritti letteralmente attraverso la codifica a disposizione. La tabella 221.4 mostra i comandi necessari a ottenere le vocali accentate.
Tabella 221.4. Vocali accentate per Lout.
Quando si scrive un file di testo puro e semplice, ma non è possibile utilizzare la codifica ISO 8859-1, si può aggiungere un apice opportuno subito dopo la vocale da accentare. Naturalmente questa tecnica può valere solo per la lingua italiana in cui gli accenti si pongono solo nelle vocali finali. Visivamente il risultato è molto simile a quello corretto.
Tabella 221.5. Trucco per rappresentare le vocali accentate quando non si può fare altrimenti.
Vocale accentata | Vocale apostrofata corrispondente |
à, À | a`, A` |
è, È | e`, E` |
ì, Ì | i`, I` |
ò, Ò | o`, O` |
ù, Ù | u`, U` |
é, É | e', E' |
Quello che segue è la norma UNI 6015 sull'uso degli accenti. Il testo è stato ottenuto da Scienza, tecnologia e arte della stampa e della comunicazione, Preparazione del manoscritto <http://www.apenet.it/grafica/libri/Grafica/Grafica01/1206.html>.
Segnaccento obbligatorio nell'ortografia della lingua italiana (Uni 601567):
1. Scopo
La presente unificazione ha lo scopo di stabilire le regole ortografiche per il segnaccento nei testi stampati in lingua italiana, quando esso sia obbligatorio.
2. Definizione
2.1 Il segnaccento (o segno d'accento, o accento scritto) serve a indicare esplicitamente la vocale tonica, per esempio: andrà, colpì, temé, virtù.
2.2. Il segnaccento può essere grave (`) o acuto (').
3. Uso
Il segnaccento è obbligatorio nei casi seguenti:
3.1. Su alcuni monosillabi, per distinguerli da altri monosillabi che si scrivono con le stesse lettere ma senza accento:
ché («poiché», congiunzione causale) per distinguerlo da che (congiunzione in ogni altro senso, o pronome);
dà (indicativo presente di dare) per distinguerlo da da (preposizione) e da' (imperativo di dare);
dì («giorno») per distinguerlo da di (preposizione) e di' (imperativo di dire);
è (verbo) per distinguerlo da e (congiunzione);
là (avverbio) per distinguerlo da la (articolo, pronome, nota musicale);
lì (avverbio) per distinguerlo da li (articolo, pronome);
né (congiunzione) per distinguerlo da ne (pronome, avverbio);
sé (pronome tonico) per distinguerlo da se (congiunzione, pronome atono);
sì («così», o affermazione) per distinguerlo da si (pronome, nota musicale);
té (pianta, bevanda) per distinguerlo da te (pronome).
3.2. Sui monosillabi: chiù, ciò, diè, fé, già, giù, piè, più, può, scià.
3.3. Su tutte le parole polisillabe su cui la posa della voce cade sulla vocale che è alla fine della parola, per esempio: pietà, lunedì, farò, autogrù.
4. Forma
4.1. Il segnaccento, nei casi in cui è obbligatorio, è sempre grave sulle vocali: a, i, o, u.
4.2. Sulla e, il segnaccento obbligatorio è grave se la vocale è aperta, è acuto se la vocale è chiusa:
- è sempre grave sulle parole seguenti:
ahimè e ohimè, caffè, canapè, cioè, coccodè, diè e gilè, lacchè, piè, tè; inoltre sulla maggior parte dei francesismi adattati, come bebè, cabarè, purè, ecc. e sulla maggior parte dei nomi propri, come Giosuè, Mosè, Noè, Salomè, Tigrè;
- è acuto sulle parole seguenti:
ché («poiché») e i composti di che (affinché, macché, perché, ecc.), fé e i composti affé, autodafé, i composti di re e di tre (viceré, ventitré), i passati remoti (credé, temé, ecc., escluso diè), le parole mercé, né, scimpanzé, sé, testé.
4.3. Anche per la o si possono distinguere i due timbri (aperto o chiuso) con i due accenti (grave ed acuto) ma solo in casi in cui l'accento è facoltativo, per esempio: còlto (participio passato di cogliere, e cólto («istruito»).
Le congiunzioni e, o e la preposizione a, consentono l'aggiunta di una d eufonica, per facilitarne la pronuncia quando la parola che segue inizia per vocale. Si tratta di una possibilità e non di una regola; di questa d si potrebbe benissimo fare a meno.
Ognuno tende a usare questa d eufonica in modo differente, a seconda della propria cadenza personale, che ne può richiedere o meno la presenza. Quando si scrive, bisognerebbe mantenere lo stesso stile, anche sotto questo aspetto, quindi ognuno deve stabilire e seguire un proprio modo.
Esiste tuttavia un suggerimento che punta all'uso moderato di queste d eufoniche: usare la d solo quando la vocale iniziale della parola successiva è la stessa; e non usarla nemmeno quando, pur essendoci la stessa vocale iniziale nella parola successiva, ci sia subito dopo una d che possa complicare la pronuncia.
In linea di massima, l'articolo che si mette davanti a un termine che inizia con la lettera h, è quello che si userebbe pronunciando quella parola come se iniziasse per vocale. Secondo questo principio, va usata l'elisione, così come si fa con i termini che iniziano per vocale, senza alcuna «h» anteriore. Per esempio: l'harem; l'hotel; l'host.
Tuttavia, quando si tratta di un termine che, proveniendo da un'altra lingua, non è ancora diventato di uso comune e nella lingua originale si pronuncia con la lettera «h» iniziale aspirata, si preferisce evitare l'elisione.
L'iniziale maiuscola si utilizza all'inizio del periodo e per evidenziare i nomi propri. Nel dubbio è meglio evitare di utilizzare le maiuscole. La lingua italiana fa un uso diverso delle maiuscole rispetto ad altre lingue. Il novello scrittore di documenti tecnici tende a lasciarsi influenzare dall'uso che si fa delle maiuscole nella lingua inglese. Per questo è bene ribadire che in italiano l'uso di queste deve essere ridotto al minimo indispensabile.
Ci sono alcuni aspetti del plurale nella lingua italiana che vale la pena di annotare. In particolare, nel caso di chi deve utilizzare anche termini stranieri, si pone il problema di decidere se questi siano invariabili o meno. A questo proposito, esistono due regolette semplici e pratiche:
le parole terminanti per consonante sono invariate al plurale;
i termini di provenienza straniera non ancora assimilati sono invariati al plurale.
In particolare, per quanto riguarda la seconda, la logica è che non si può applicare un plurale secondo le regole di una lingua straniera mentre si usa l'italiano. Inoltre, dato che nella maggior parte dei casi si tratta di termini inglesi, che nella loro lingua prenderebbero quasi sempre una terminazione in -s al plurale, diventerebbe anche difficile la loro pronuncia in italiano.
Esiste una regoletta che permette di stabilire facilmente come debba essere ottenuto il plurale delle parole che terminano in -cia e -gia: la i rimane se la c e la g sono precedute da vocale, oppure se la i viene pronunciata con accento, mentre viene eliminata se queste consonanti sono precedute da un'altra consonante.
Quindi si ha: camicia, camicie e interfaccia, interfacce; ciliegia, ciliegie e spiaggia, spiagge; energia, energie.
Gli elementi puntati, o numerati, possono essere composti da elementi brevi, oppure da interi periodi. Se tutti gli elementi sono brevi:
l'elenco deve essere introdotto da una frase terminante con due punti;
ogni elemento deve essere terminato con un punto e virgola, a eccezione dell'ultimo che termina normalmente con un punto.
La descrizione appena fatta mostra un esempio di elenco del genere. Se anche uno solo degli elementi è troppo lungo, è bene trasformare tutti gli elementi in periodi terminati da un punto. In tal caso, se l'elenco viene introdotto da una frase, anch'essa termina con un punto.
Ci possono essere situazioni in cui queste indicazioni non sono applicabili: come sempre è necessario affidarsi al buon senso.
Le citazioni, cioè le frasi o i brani riprodotti letteralmente da altri documenti, devono apparire distinte chiaramente dal testo normale. Si usano normalmente queste convenzioni:
quando la citazione è incorporata nel testo viene delimitata attraverso le virgolette, oppure utilizzando il corsivo se la citazione è particolarmente breve;
le citazioni incluse in un'altra citazione già virgolettata si evidenziano attraverso l'uso di un altro tipo di virgolette, cominciando da quelle uncinate («»), utilizzando poi quelle elevate doppie (``'') e terminando con quelle singole (`');
quando la citazione è molto lunga e occupa diversi capoversi, conviene utilizzare un corpo minore o un altro espediente tipografico per distinguerla dal testo normale, come con l'uso di rientri differenti;
quando la citazione è lunga e non si vogliono utilizzare altri espedienti per evidenziarla, si utilizzano le virgolette, ripetendo quelle di apertura all'inizio di ogni capoverso;
all'interno delle citazioni possono apparire dei commenti o chiarimenti inseriti da chi scrive, delimitandoli attraverso l'uso di parentesi quadre;
all'interno delle citazioni vanno indicate le omissioni, che possono essere segnalate attraverso l'uso dei puntini di sospensione racchiusi tra parentesi quadre (come per i commenti);
quando si fanno delle omissioni nella citazione all'inizio o alla fine del brano, è preferibile l'uso dei puntini di sospensione senza che questi siano racchiusi tra parentesi quadre; all'inizio i puntini di sospensione sono staccati dalla prima parola, mentre alla fine sono attaccati all'ultima.
Le traduzioni rappresentano un problema in più, dal punto di vista dell'uniformità stilistica espressiva, soprattutto perché sono frequentemente il risultato di un lavoro di gruppo. Il problema più grave è rappresentato dalla traduzione o dall'acquisizione di quei termini che non fanno parte del linguaggio comune.
Una traduzione non può essere letterale, perché lingue diverse hanno strutture differenti e il significato che si attribuisce alle parole dipende dal contesto. Quello che conta, quindi, è che il significato sia mantenuto.
Quando si tratta di termini tecnici di origine straniera, la loro traduzione può essere inopportuna, soprattutto quando chi deve esprimersi con quei concetti utilizza già abitualmente il termine in questione, nella forma originale, senza tradurlo.
In pratica, è importante che gli utenti esperti possano trovare familiare la traduzione di un documento tecnico rivolto a loro.
Una traduzione utilizzata largamente sul campo deve essere privilegiata al momento della scelta. È importante evitare che gli utenti esperti possano essere confusi da una traduzione. In pratica: gli utenti esperti devono trovare familiari le traduzioni scelte.
Quando un termine straniero ha un significato più specifico della sua traduzione letterale, allora non conviene tradurlo.
L'esempio più importante che deriva da questa affermazione è il termine file, che in italiano identifica precisamente il concetto di archivio elettronico generico.
L'attività di traduzione è tanto più delicata se si considerano i vincoli posti dalle convenzioni internazionali che regolano l'editoria. In breve, la traduzione deve essere autorizzata dall'autore originale, verso il quale ci si assume la responsabilità del buon esito di questa operazione.
Per questo, la traduzione non può alterare il contenuto espresso dall'autore originale e nemmeno chiarirlo. Nello stesso modo, una traduzione deve sempre essere accompagnata dall'indicazione dei nomi dei traduttori che l'hanno realizzata.
Quando si decide di lasciare inalterato il termine straniero nel testo italiano, si pone il problema di stabilire il modo con cui questo possa convivere con il resto del testo. L'unica regola sicura è la verifica dell'uso generale, attraverso la discussione nelle liste specializzate. Tuttavia si possono definire alcune regole di massima, per dare l'idea del problema.
È importante osservare che nell'ambito delle traduzioni di documenti tecnici, nella stragrande maggioranza dei casi, si ha a che fare con l'inglese. Infatti, l'acquisizione di un termine straniero tende a seguire logiche differenti a seconda della lingua di origine. Per comprenderlo basta pensare con quanta facilità si potrebbe acquisire un termine francese, come «console», rispetto a un termine inglese.
La prima cosa da fare di fronte a un termine da non tradurre è di verificare in un vocabolario di lingua italiana; se c'è, il problema è risolto. Questo potrebbe sembrare un consiglio banale; ma attualmente appaiono già parole come «input» e «output» che non sono poi di uso così generalizzato.
Un termine inglese può assumere il genere che avrebbe se tradotto in italiano, oppure quello che suona meglio dandogli un significato italiano. In caso di dubbio è importante controllare l'uso comune (se esiste).
I termini inglesi non tradotti sono invariabili al plurale, cioè quando sono inseriti in testi in italiano vanno scritti sempre al singolare, senza aggiungere la lettera «s» finale, anche se ci si riferisce a una quantità maggiore di uno.
A titolo di esempio si pensi al termine «mouse» che al plurale inglese diventa «mice». Chi usa questo termine, probabilmente è costretto a farlo, dato che l'italiano offre poche alternative; forse si potrebbe indicare come «dispositivo di puntamento», ma questa definizione è troppo generica e probabilmente non verrebbe compresa. Pertanto, chi usa questi termini non può essere anche costretto a conoscere perfettamente l'inglese e il modo corretto di usare i plurali in quella lingua.
In altri termini, la lingua italiana non può incorporare le regole di un'altra lingua.
Quando il termine che non si traduce non è di uso comune nell'ambiente a cui si rivolge il documento, dovrebbe essere evidenziato in corsivo tutte le volte che viene utilizzato. Per chiarire meglio il concetto, un termine tecnico può essere o meno di uso comune per il pubblico di lettori a cui si rivolge: se si tratta di un termine considerato normale per quell'ambiente, non è il caso di usare alcuna evidenziazione.
Quando si traduce un documento è importante la preparazione di un glossario, inteso come una raccolta di traduzioni standard che permettono di mantenere uniformità nel documento tradotto. Questo diventa tanto più importante quando si lavora in gruppo, o si partecipa alla traduzione di un gruppo di opere che fanno parte di uno stesso ambito tecnico.
Un glossario del genere non può essere un documento statico, in quanto si ha la necessità di aggiornare continuamente il suo contenuto; se non altro per estenderlo.
Nell'ambito della documentazione GNU, ci si può iscrivere alla lista it@li.org
per chiedere informazioni sul lavoro già svolto e per discutere termini non ancora definiti dal glossario in corso di realizzazione. Per iscriversi basta inviare un messaggio a majordomo@li.org
contenente nel corpo (e non nell'oggetto) il testo seguente:
subscribe it
L'invio di messaggi al gruppo di discussione va indirizzato poi a it@li.org
.
Eventualmente si può scaricare il glossario attuale da <ftp://ftp.linux.it/pub/People/md/glossario.tgz>, tenendo presente che il moderatore della lista desidera che non sia distribuito ulteriormente, in modo da evitare che si diffondano versioni obsolete.
Come ultima nota è opportuno chiarire che un glossario per la traduzione può essere solo uno strumento, per l'utilizzo da parte di persone in grado di capire il contesto in cui i termini sono usati e di stabilire se le voci corrispondenti del glossario sono applicabili alle situazioni particolari.
Anche l'autore di un'opera originale di carattere tecnico, si imbatte in problemi simili a quelli dei traduttori. Infatti, quando l'acquisizione di un termine tecnico straniero riguarda solo l'ambito specializzato per il quale si scrive, si può dubitare del modo giusto di utilizzarlo.
Per questo, anche gli autori di opere originali possono avere la necessità di preparare un glossario e di discutere le espressioni migliori per un concetto determinato.
L'influenza della lingua inglese porta a deformazioni sempre più frequenti nella lingua italiana. Queste annotazioni vogliono essere di aiuto a chi scrive in italiano sotto l'influenza della prosa inglese, sia perché sta traducendo, sia perché è abituato a leggere solo documentazione tecnica scritta in inglese. Il problema più evidente, ma più facile da affrontare, è quello dei «falsi amici»: quei termini che, pur assomigliandosi (e pur avendo, spesso, la stessa etimologia), hanno significati diversi nelle due lingue. Gli esempi più celebri sono «factory» che diventa erroneamente «fattoria» e «cold» che si trasforma in «caldo».
Il problema meno evidente e per questo più insidioso è dato dalle altre differenze fra le due lingue: la punteggiatura, l'uso delle maiuscole e la struttura delle frasi. Trascurando queste particolarità si rischia di ottenere un testo che è formalmente in italiano, ma che non «suona» come tale.
Per completare il quadro, viene mostrato qualche esempio comune per chiarire questi concetti, ma è bene ricordare che le possibilità sono infinite e che l'unico modo per scrivere in buon italiano è leggere tanto buon italiano (così come avviene per qualsiasi linguaggio di programmazione).
I «falsi amici» sono quei termini inglesi che sembrano avere una traduzione ovvia in italiano, che però non è corretta. Lo specchietto che si vede nella tabella 221.6 mostra la traduzione corretta di alcuni termini, frequenti nei testi informatici, lasciando intuire l'errore comune che si fa al riguardo.
Tabella 221.6 Traduzioni corrette dei «falsi amici».
consistent | coerente |
exhaustive | esauriente |
line | riga (quasi sempre) |
re... (recursive) | ri... (ricorsivo) |
set | insieme («set» è tennistico) |
to set | impostare («settare» è di pessimo gusto) |
subject | oggetto (di una lettera o di un messaggio) |
to process | elaborare |
to assume | supporre |
proper (agg.) | giusto, corretto |
proper (avv.) | vero e proprio |
to support | si usi, per quanto possibile, una perifrasi |
to return something | restituire qualcosa («ritornare» è intransitivo) |
Quello che segue è un elenco di annotazioni riguardo all'uso dell'ortografia e della sintassi.
La «e» o la «o» che introduce l'ultimo termine di un elenco non va preceduta da virgola. In inglese americano la norma è di usare la virgola (ma gli inglesi non la usano); a volte in italiano la virgola è ammissibile, ma si tratta di eccezioni.
Se le frasi sono negative, allora devono essere separate con «né». Per esempio:
File che hanno questo bit settato non possono essere cancellati con DEL o modificati.
va sostituito con:
I file che hanno questo bit impostato non possono essere cancellati con DEL né modificati.
I periodi italiani sono più complessi di quelli inglesi, a parità di registro. Come buona regola, metà dei punti fermi vanno sostituiti con congiunzioni, subordinate, due punti o punti e virgola. L'esempio seguente di traduzione viene da hostname(1).
-F, --file filename Read the host name from the specified file. Comments (lines starting with a `#') are ignored.
-F, --file nomefile Legge il nome dell'host dal file specificato, ignorando i commenti (righe che iniziano con `#').
L'uso del futuro in inglese è diverso da quello dell'italiano. L'esempio proviene da mpage(1).
-O Print 2 normal pages per sheet. But, this option will print every first and forth page of every set of four pages. This option will ignore the -a and -l options.
-O Stampa due pagine normali per foglio: questa opzione, però, stampa la prima e la quarta pagina per ogni dato insieme di quattro pagine. Questa opzione ignora le opzioni -a e -l.
I nomi dei mesi sono minuscoli.
I numeri piccoli vanno scritti preferibilmente per esteso.
In italiano si usa, di solito, la sequenza nome+aggettivo; il contrario, aggettivo+nome, per quanto accettabile, ha spesso un significato diverso. Per esempio, si osservi la differenza tra «pover'uomo» e «uomo povero».
Bisogna sempre concordare il genere grammaticale: «la directory padre» non ha senso.
Spesso chi scrive in inglese usa contorsioni grammaticali assurde per evitare di denotare il genere della terza persona singolare; in particolare, si può trovare «they» o «their» usati al singolare: ovviamente in italiano ciò non va fatto. L'esempio proviene da finger(1):
Mail status is shown as ``No Mail.'' if there is no mail at all, ``Mail last read DDD MMM ## HH:MM YYYY (TZ)'' if the person has looked at their mailbox since new mail arriving, or ``New mail received ...'', `` Unread since ...'' if they have new mail.
Nella documentazione a carattere scientifico diventa fondamentale la coerenza e la precisione nel modo in cui si indicano le grandezze e le unità di misura, oltre che la scelta di queste. In generale, ogni ambiente tecnico particolare tende a utilizzare le proprie grandezze e le proprie unità di misura, tralasciando gli sforzi di standardizzazione internazionale, contribuendo così a complicare inutilmente il proprio settore.
Purtroppo, l'ambito informatico costituisce l'esempio più problematico sotto questo aspetto, dal momento che l'esigenza di mantenere una compatibilità con il sistema binario ha attribuito a delle denominazioni ben precise del sistema decimale un significato differente rispetto a quello comune a tutti gli altri ambiti scientifici.
Lo standard internazionale sulle unità di misura è costituito dal SI, ovvero Le Système international d'unités, in italiano Sistema internazionale di unità. Il punto di riferimento per questo lavoro di armonizzazione è il BIPM (Bureau international des poids et mesures), con sede in Francia (<http://www.bipm.fr/>).
Per esprimere una quantità riferita a una grandezza in modo grafico, occorre disporre del simbolo (la sigla) che ne esprime l'unità di misura o un multiplo opportuno di tale unità, al quale si fa precedere il numero, in cifre, di tale quantità:
n simbolo
È importante che tra il numero e la sigla ci sia uno spazio, che non deve poter essere interrotto in fase di impaginazione del testo. Per esempio: si può scrivere 5 kg, ma non 5kg.
È bene chiarire il significato di alcuni termini che riguardano la misurazione di qualcosa:
ciò che viene misurato, come la lunghezza, la massa(8), il tempo;
il nome attribuito a ciò che si usa per misurare, come il metro, il kilogrammo(9), il secondo;
il simbolo che rappresenta l'unità di misura in modo standard, come «m», «kg», «s»;
I nomi delle unità di misura si esprimono generalmente senza iniziale maiuscola, mentre i simboli usati per rappresentarle simbolicamente vanno espressi esattamente come stabilito dagli standard, per quanto riguarda l'uso delle lettere maiuscole o minuscole.
Tabella 221.7. Esempi di grandezze e unità di misura.
Grandezza | Unità di misura | Simbolo |
lunghezza | metro | m |
massa | kilogrammo | kg |
tempo | secondo | s |
corrente elettrica | ampere | A |
Oltre alla definizione dei simboli che esprimono le unità di misura, si aggiungono dei simboli che rappresentano un multiplo ben preciso di tali unità. Tali simboli di moltiplicazione si pongono davanti al simbolo di unità a cui si riferiscono; per esempio, il simbolo «km» rappresenta mille unità «m», ovvero mille volte il metro.
I simboli che rappresentano tali moltiplicatori hanno anche un nome che normalmente si esprime senza iniziale maiuscola, indipendentemente dalla forma, maiuscola o minuscola, che ha il simbolo stesso.
I moltiplicatori riferiti alle unità di misura hanno un significato e un valore ben preciso. È un errore l'uso dei termini «kilo», «mega», «giga» e «tera», per rappresentare moltiplicatori pari a 210, 220, 230 e 240, come si fa abitualmente per misurare grandezze riferite a bit o a byte. |
Tabella 221.8. Prefissi del Sistema internazionale di unità (SI).
Nome | Simbolo | Valore | Note |
yotta | Y | 1024 | |
zetta | Z | 1021 | |
exa | E | 1018 | |
peta | P | 1015 | |
tera | T | 1012 | |
giga | G | 109 | |
mega | M | 106 | |
kilo | k | 103 | Lettera «k» minuscola. |
hecto, etto | h | 102 | |
deca | da | 10 | |
1 | Nessun moltiplicatore. | ||
deci | d | 10-1 | |
centi | c | 10-2 | |
milli | m | 10-3 | |
micro | µ | 10-6 | |
nano | n | 10-9 | |
pico | p | 10-12 | |
femto | f | 10-15 | |
atto | a | 10-18 | |
zepto | z | 10-21 | |
yocto | y | 10-24 |
Lo standard IEC 60027-2 introduce un gruppo nuovo di prefissi da utilizzare in alternativa a quelli del SI, per risolvere il problema dell'ambiguità causata dall'uso improprio dei prefissi del SI in ambito informatico. A questo proposito, una discussione particolareggiata su questo argomento si può trovare nel documento Standardized Units for Use in Information Technology, di Markus Kuhn, <http://www.cl.cam.ac.uk/~mgk25/information-units.txt>.
Tabella 221.9. Prefissi IEC 60027-2.
Origine | Nome | Simbolo | Valore | Note |
kilobinary | kibi | Ki | 210 | Si usa la «K» maiuscola. |
megabinary | mebi | Mi | 220 | |
gigabinary | gibi | Gi | 230 | |
terabinary | tebi | Ti | 240 | |
petabinary | pebi | Pi | 250 | |
exabinary | exbi | Ei | 260 | |
zettabinary | zebi | Zi | 270 | |
yottabinary | yobi | Yi | 280 |
La tabella 221.9 riporta l'elenco di questi prefissi speciali.
La rappresentazione di valori numerici tende a seguire forme differenti a seconda del contesto e delle convenzioni nazionali. Nella Guide for the Use of the International Systems of Units (SI), pubblicato dal NIST (National institute of standards and technology), si trovano alcuni criteri per risolvere il problema in modo non ambiguo, validi anche al di fuori della realtà inglese.
In generale, l'uso del simbolo % va inteso come una forma abbreviata per 0,01 e in questo modo va usato, senza eccedere. In particolare, il simbolo di percentuale va posto dopo un valore numerico, staccato da questo, ma non separabile in fase di composizione tipografica:
n %
Per esempio, si può scrivere x = 0,025 = 2,5 %, mentre non è corretta la forma x = 0,025 = 2,5%.
Nella lingua italiana, come in molte altre, si usa la virgola come segno di separazione tra la parte intera e quella decimale, mentre nei paesi di lingua inglese, si utilizza il punto. A parte il problema di scegliere il segno opportuno in base alle proprie convenzioni nazionali, si pone piuttosto la difficoltà nel rappresentare numeri composti da un grande numero di cifre.
La Guide for the Use of the International Systems of Units (SI) indica un metodo molto semplice e non equivoco: si separano le cifre a gruppi di tre, usando semplicemente uno spazio, sia prima che dopo il marcatore decimale, come si vede in questi esempi:
123 456 789 3 456 789,012 345 6 6 789,012 3
Naturalmente, lo spazio in questione non può consentire l'interruzione della riga in fase di composizione.
È ammissibile anche un'eccezione in presenza di raggruppamenti di sole quattro cifre, prima o dopo il marcatore decimale. In quel caso si può evitare la separazione:
1234 23,2345
Un altro problema è quello della rappresentazione di valori numerici espressi con una base maggiore di 10, per i quali si utilizzano le prime 10 cifre numeriche e per il resto si usano le lettere alfabetiche. Queste lettere andrebbero utilizzate coerentemente, possibilmente in forma maiuscola.
La definizione dello stile tipografico è un altro punto delicato nella definizione dello stile letterario generale. Di solito, la sua preparazione, è compito del tipografo o del coordinatore di un gruppo di autori o traduttori.
Il modo migliore per stabilire e utilizzare uno stile tipografico è quello di usare un sistema SGML, attraverso cui definire un DTD che non permetta alcun dubbio nella relazione che ci deve essere tra le varie componenti di un documento. In questo modo, gli autori hanno solo il compito di qualificare correttamente le varie componenti del testo, senza pensare al risultato finale, per modificare il quale si può semmai intervenire sul sistema di conversione successivo.
Le sezioni seguenti trattano dei problemi legati alla definizione di uno stile tipografico per la redazione di documenti tecnico-informatici, mostrando prevalentemente esempi in SGMLtools-LinuxDoc e a volte anche in LaTeX. L'idea è presa dalla guida di stile del gruppo di documentazione di Linux: LDP (Linux documentation project), ma le indicazioni si basano sulle consuetudini tipografiche italiane.
Scrivendo documenti che riguardano l'uso dell'elaboratore, si incorre frequentemente nella necessità di scrivere nomi, o intere parti di testo, che devono essere trattati in modo letterale. Possono essere nomi di file e directory, comandi, porzioni del contenuto di file, listati di programmi, ecc. In questi casi è sconsigliabile l'uso di un tipo di carattere proporzionale, perché si rischierebbe di perdere delle informazioni importanti. Si pensi al trattino utilizzato nelle opzioni della maggior parte dei comandi Unix: utilizzando un carattere proporzionale, attraverso un sistema di composizione come LaTeX, si otterrebbe un trattino corto, mentre due trattini posti di seguito genererebbero un trattino normale; e ancora, da tre trattini si otterrebbe un trattino largo.
Altri tipi di problemi sono dati da nomi di altro genere, come i marchi di fabbrica, e dalla necessità di marcare dei concetti quando appaiono per la prima volta.
I nomi di file, di qualunque tipo, dovrebbero essere rappresentati attraverso un tipo di carattere a spaziatura fissa.
I nomi di questi tipi di entità sono sensibili alla differenza tra maiuscole e minuscole. Per questo vanno scritti sempre così come sono, anche quando si trovano all'inizio di un periodo, senza acquisire un'eventuale iniziale maiuscola.
I nomi di file eseguibili, in quanto tali, sono indicati preferibilmente senza il percorso necessario al loro avvio.
I nomi di programmi per i sistemi Dos dovrebbero essere indicati utilizzando lettere maiuscole, senza tralasciare l'estensione.
Il testo ottenuto da listati di vario tipo, come i pezzi di un programma sorgente, il risultato dell'elaborazione di un comando, o il contenuto di una schermata, possono essere rappresentati convenientemente attraverso un ambiente di inclusione di testo letterale a spaziatura fissa. Generalmente, con LinuxDoc si utilizza l'ambiente verb contenuto in tscreen (l'uso dell'ambiente code è sconsigliabile).
Il problema sta nel fatto che l'ampiezza di tale testo non può superare i margini del corpo del documento, in base al tipo di impaginazione finale che si ritiene dover applicare. Infatti, tale testo non può essere continuato nella riga successiva perché ciò costituirebbe un'alterazione delle informazioni che si vogliono mostrare.
Generalmente, non è possibile superare un'ampiezza di 80 colonne, pari a quella di uno schermo a caratteri normale.
I nomi di variabili di ambiente dovrebbero essere rappresentati attraverso un tipo di carattere a spaziatura fissa.
I nomi di questi tipi di entità sono sensibili alla differenza tra maiuscole e minuscole. Per questo vanno scritti sempre così come sono, anche quando si trovano all'inizio o all'interno di un periodo.
A seconda del tipo di documentazione, potrebbe essere stata definita la convenzione per cui queste debbano essere indicate sempre precedute dal simbolo dollaro ($).
La scelta di rappresentare le variabili utilizzando il dollaro come prefisso è motivata dalla facilità con cui questa può essere identificata durante la lettura del testo. Tuttavia, questa scelta potrebbe essere discutibile, perché il dollaro non appartiene al nome della variabile e perché potrebbe indurre il lettore a utilizzarlo sempre, anche quando negli script non si deve. Quindi, il buon senso deve guidare nella decisione finale.
A volte si ha la necessità di indicare un comando, o un'istruzione, all'interno del testo normale. Per questo, è opportuno utilizzare un carattere a spaziatura fissa, come nel caso dei nomi di file e directory, però qui si pone un problema nuovo dovuto alla possibile presenza di spazi e trattini. I programmi di composizione normali tendono a interrompere le righe, quando necessario, in corrispondenza degli spazi ed eventualmente anche dei trattini. Se il comando o l'istruzione che si scrive è breve, è consigliabile l'utilizzo di spazi e trattini non interrompibili.(10)
Quando si utilizza SGML (compreso HTML), si può usare l'entità per indicare uno spazio non interrompibile, mentre se si usa solo LaTeX, è il carattere tilde (~) che ha questa funzione.
Il problema del trattino non è semplice, perché non esiste un trattino generico non separabile, fine a se stesso. Di trattini ne esistono di varie misure e non sempre esistono corrispondenti per diversi tipi di programmi di composizione.
Quando si fa riferimento al nome di un programma si pongono due alternative: l'indicazione del file eseguibile oppure del nome attribuito dall'autore al suo applicativo.
Per comprendere la differenza, si può pensare a Apache: il servente HTTP. Non si tratta di un semplice eseguibile, ma di un applicativo composto da diverse parti, in cui l'eseguibile è httpd. Nello stesso modo, nel caso di Perl (il linguaggio di programmazione), si può pensare all'applicativo in generale, composto dalle librerie e tutto ciò che serve al suo funzionamento; oppure si può voler fare riferimento solo all'eseguibile: perl.
I nomi di programmi applicativi dovrebbero essere indicati nello stesso modo in cui lo fa il loro autore, rispettando l'uso delle maiuscole e delle minuscole, in qualunque posizione del testo.
I nomi di questi tipi di entità non dovrebbero essere evidenziati in modo particolare.
I concetti e i termini che non si ritengono familiari per il lettore, dovrebbero essere evidenziati la prima volta che si presentano.
Per questo tipo di evidenziazione si utilizza un neretto oppure un corsivo. L'uso del neretto è contrario alla tradizione dei testi italiani, in cui questo viene fatto normalmente utilizzando solo il corsivo. Tuttavia, il neretto si presta meglio alla composizione in formati molto diversi; per esempio si ottiene facilmente anche su un documento da visualizzare attraverso uno schermo a caratteri.
Questo meccanismo permette di inserire le cosiddette entità interne, con cui si possono definire delle macro.
A volte è opportuno utilizzare termini stranieri, non tradotti. Quando si tratta di termini non ben acquisiti nel linguaggio comune, almeno per il pubblico a cui si rivolge il documento, è opportuno utilizzare il corsivo tutte le volte in cui il termine viene adoperato.
Un termine tecnico può essere o meno di uso comune per il pubblico di lettori a cui si rivolge: se si tratta di un termine considerato normale per quell'ambiente, non è il caso di usare alcuna evidenziazione.
L'indicazione di nomi che fanno riferimento a marchi di fabbrica o simili, va fatta come appare nel copyright o nella nota che fa riferimento al brevetto, rispettando l'uso delle maiuscole e dell'eventuale punteggiatura. Si dovrebbe evitare, quindi, di prendere in considerazione un eventuale logo grafico del prodotto. Non è opportuno fare risaltare maggiormente i nomi di questo tipo.(11)
All'interno del testo non è conveniente fare riferimento al detentore del copyright o del brevetto. Eventualmente, di questo problema dovrebbero farsi carico delle note opportune all'inizio del documento che si scrive.(12)
Nei testi di lingua italiana, i titoli vanno scritti come se si trattasse di testo normale, con le particolarità seguenti:
non viene mai posto il punto fermo finale;
si cerca di evitare l'inserzione di altri segni di punteggiatura, a meno che ciò sia necessario per qualche motivo;
non si usano evidenziazioni particolari di parole o nomi come invece potrebbe avvenire nel testo normale.
Un documento a carattere tecnico viene normalmente suddiviso in segmenti a più livelli. Per avere maggiore facilità nella trasformazione del documento in diversi formati tipografici finali, conviene limitare la scomposizione a un massimo di due livelli. Nel caso di LinuxDoc, significa limitarsi a usare sect e sect1.
Gli elementi che non fanno parte del flusso normale di un documento, come tabelle e figure, sono accompagnate generalmente da un titolo e da una didascalia. Il titolo serve a identificarle, mentre la didascalia ne descrive il contenuto.
I titoli di tabelle, figure e oggetti simili, seguono le regole dei titoli normali, mentre il testo delle didascalie segue le regole del testo normale. Tuttavia, quando si utilizzano programmi di composizione che permettono di abbinare solo una nota descrittiva, che funga sia da titolo che da didascalia, occorre fare una scelta:
quando le note sono brevi, è opportuno che si comportino come i titoli, cioè non contengano simboli di punteggiatura;
quando sono più lunghe, si può decidere di trattarle come didascalie vere e proprie, con tutti i simboli di punteggiatura necessari per una comprensione corretta del contenuto.
Naturalmente, la scelta fatta deve valere per tutte le descrizioni che si abbinano a questi oggetti di un particolare documento: brevi o lunghe che siano.
Gli elenchi descrittivi, come quelli che si ottengono con LinuxDoc utilizzando la struttura seguente, possono essere insidiosi, perché potrebbero tradursi in modo differente a seconda del tipo di programma di composizione utilizzato.
<descrip> <tag>Primo elemento</tag> Descrizione del primo elemento,... Bla bla bla... </descrip>
L'elemento descrittivo dell'elenco è in pratica un titolo che introduce una parte di testo generalmente rientrata. Sotto questo aspetto, la voce descrittiva segue le regole già viste per i titoli. Tuttavia, il problema sta nel fatto che si potrebbe essere indotti a riprendere un discorso lasciato in sospeso quando veniva introdotto l'elenco, come nell'esempio seguente:
Bla bla bla bla... Primo elemento Descrizione del primo elemento,... Bla bla bla... Qui si riprende il discorso precedente all'elenco descrittivo. ...
Infatti, l'utilizzo dei rientri fa percepire immediatamente la conclusione dell'elenco stesso. Quando si scrive un documento che deve poter essere convertito in molti formati differenti, che quindi potrebbe essere elaborato da programmi di composizione di vario tipo, può darsi che i rientri vengano perduti e gli elementi descrittivi dell'elenco appaiano come dei titoli veri e propri. Ma se ciò accade, quando si ricomincia «il discorso lasciato in sospeso», sembra che questo appartenga all'argomento dell'ultimo titolo apparso.
Bla bla bla bla... Primo elemento Descrizione del primo elemento,... Bla bla bla... Qui si riprende il discorso precedente all'elenco descrittivo. ...
Pertanto, se si vogliono utilizzare strutture di questo tipo, è consigliabile che appaiano alla fine di una sezione, quando quello che viene dopo è un titolo di una sezione o di qualcosa di simile.
I richiami in nota (le note a piè pagina e quelle alla fine del documento) sono composti con le stesse regole del testo normale. Quando il riferimento a una nota si trova alla fine di una parola cui segue un segno di interpunzione, è opportuno collocare tale riferimento dopo il simbolo di interpunzione stesso.
La costruzione di un indice analitico deriva dall'inserzione di riferimenti all'interno del testo, attraverso istruzioni opportune definite dal tipo di programma usato per la composizione.
Nel caso particolare di LinuxDoc si utilizzano gli ambienti nidx e ncdx, che vengono poi gestiti solo nella composizione attraverso LaTeX e ignorati in tutti gli altri casi. ncdx si usa per i nomi tecnici (file, directory, variabili di ambiente, ecc.), mentre nidx per tutti gli altri tipi di riferimento.
Le voci inserite in questi riferimenti, che poi formeranno l'indice generale, vanno scelte in modo da essere uniformi, secondo alcune regole molto semplici.
Si utilizzano le lettere minuscole, a meno che si tratti di nomi particolari che vanno sempre scritti in un modo prestabilito:
i nomi proprietari vanno scritti come indicato dalla casa produttrice;
i nomi di applicativi software vanno scritti come indicato dall'autore;
i nomi di file e directory vanno scritti esattamente come sono, tenendo conto che i file eseguibili vanno indicati senza percorso, mentre gli altri dovrebbero contenerlo;
i nomi di variabili di ambiente vanno scritti esattamente come sono, prefissati dal simbolo dollaro.
Si utilizza solo il singolare;
I riferimenti per la generazione dell'indice analitico vanno posti preferibilmente nei luoghi opportuni, in modo da evitare inutili rimandi a pagine che non contengono ciò che si cerca. Per esempio, la parola file potrebbe trovarsi in quasi tutte le pagine di un testo di informatica, mentre è conveniente che l'indice analitico riporti solo le pagine in cui si parla del concetto che questa parola rappresenta.
I nomi di programmi eseguibili e di file di dati standard dovrebbero essere inseriti nell'indice analitico ogni volta che appaiono nel testo.
Esiste una forma precisa e molto articolata per la stesura delle bibliografie, che corrisponde allo standard ISO 690. A ogni modo, vale la regola generale per cui un riferimento bibliografico deve contenere tutti i dati necessari a reperire il documento a cui si fa riferimento. In condizioni normali, le informazioni essenziali per identificare una pubblicazione sono quelle seguenti:
l'autore o gli autori;
il titolo completo;
l'editore;
la data di edizione;
l'URI (se il documento è disponibile attraverso la rete).
Generalmente è consigliabile comporre gli elenchi bibliografici indicando le opere a partire dall'autore, mettendo il titolo in testo corsivo o inclinato, separando le varie componenti di ogni riferimento bibliografico attraverso delle virgole, come nell'esempio seguente:
Claudio Beccari, LaTeX, Guida a un sistema di editoria elettronica, Hoepli, 1991, ISBN 88-203-1931-4
Se non si dispone di un sistema automatico per la gestione dei riferimenti bibliografici, quando si cita un documento all'interno del testo, è bene seguire alcune regole elementari.
I riferimenti ad altri documenti, all'interno del testo normale, vanno fatti indicando il titolo completo, in corsivo o inclinato, aggiungendo il nome dell'autore o degli autori.
Il titolo è separato con una virgola da un eventuale sottotitolo.
I riferimenti a un testo già citato possono essere fatti utilizzando solo il titolo o solo l'autore, o attraverso altri mezzi, purché si sia certi di non creare ambiguità o disagio al lettore.
Segue un esempio molto semplice di come può essere fatto un riferimento del genere all'interno del testo normale:
Questa sezione fa riferimento a concetti contenuti in LaTeX, Guida a un sistema di editoria elettronica, di Claudio Beccari.
Michele Dalla Silvestra, Scrittura testi per l'ILDP
Robert Kiesling, The LDP Style Mini-HOWTO
<http://www.linux.org/docs/ldp/howto/HOWTO-INDEX/howtos.html>
Claudio Beccari, LaTeX, Guida a un sistema di editoria elettronica, Hoepli, 1991, ISBN 88-203-1931-4
M. Fazio, Dizionario e manuale delle unità di misura, Zanichelli
Scienza, tecnologia e arte della stampa e della comunicazione, Arti poligrafiche europee
<http://www.apenet.it/grafica/libri/Grafica/Grafica01/indice02.html>
<http://www.apenet.it/grafica/libri/Grafica/Grafica02/indice02.html>
<http://www.apenet.it/grafica/libri/Grafica/Grafica03/indice02.html>
Scienza, tecnologia e arte della stampa e della comunicazione: Giuseppe Orsello, Preparazione del manoscritto, Arti Poligrafiche Europee
<http://www.apenet.it/grafica/libri/Grafica/Grafica01/1206.html>
Marco Gaiarin, Linux Italian HOWTO
<http://www.linux.org/docs/ldp/howto/HOWTO-INDEX/howtos.html>
Maurizio Pistone, Lingua italiana e altra linguistica
<http://www.freeweb.org/letteratura/pistone/linguaitaliana.html>
Dictionnaire panlatin de l'informatique
NetGlos - The Multilingual Glossary of Internet Terminology
Amiga Translators' Organization
Bureau International des Poids et Mesures
Bureau International des Poids et Mesures, Le Système international d'unités (SI)
Bureau International des Poids et Mesures, The International System of Units (SI) (traduzione in inglese)
National Institute of Standards and Technology, International System of Units (SI)
National Institute of Standards and Technology, Guide for the Use of the International System of Units (SI), 1995
Markus Kuhn, Standardized Units for Use in Information Technology, 1995
National Institute of Standards and Technology, Prefixes for binary multiples
Excerpts from ISO 690-2, Information and documentation -- Bibliographic references -- Part 2: Electronic documents or parts thereof
daniele @ swlibero.org
1) Come sempre, tutte le segnalazioni di errore sull'ortografia, la sintassi e il contenuto di questo documento, sono gradite. :-)
2) Il vero artista è colui che crea qualcosa di nuovo e non accetta di sottostare alle regole generali. È evidente quindi che costui non potrà lavorare in un gruppo perché non si sottometterà mai alle regole poste dagli altri o dalla consuetudine.
3) Secondo una regola della tipografia del passato, ormai condannata generalmente, era necessario aumentare lo spazio che divide la fine di un periodo dall'inizio del successivo. Per qualche ragione si trovano ancora documenti in lingua inglese che seguono questa regola, anche quando si tratta di file di testo.
4) Purtroppo LaTeX segue la vecchia regola dell'allungamento dello spazio dopo il punto fermo che chiude il periodo, con l'aggravante che per riuscire a determinarlo può fare solo delle supposizioni, che a volte sono errate. Per fare in modo che LaTeX eviti di applicare questa regola errata, si può utilizzare il comando \frenchspacing nel preambolo del documento.
5) Quando il sistema di composizione si basa su TeX e si usano virgolette elevate, le virgolette doppie si ottengono preferibilmente attraverso una coppia di apici singoli aperti (``) e una coppia di apici singoli chiusi (''). In altri casi, soprattutto quando si tratta di file di testo puri e semplici, gli apici doppi si indicano con le virgolette normali ("...").
6) TeX permette l'uso di tre trattini di lunghezza differente: il trattino corto che si ottiene con un trattino singolo, il trattino medio che si ottiene con due trattini in sequenza e il trattino lungo che si ottiene con tre. Nella lingua italiana vanno usati solo i primi due, dove il trattino medio di TeX corrisponde al trattino lungo della nostra grammatica.
7) Nell'ambito della documentazione tecnica, sarebbe consigliabile di evitare l'uso di accentazioni non comuni, anche se queste potrebbero essere preferibili in ambienti più raffinati.
8) Secondo il SI, questa è la definizione corretta, mentre il «peso» è la forza applicata a un oggetto.
9) Secondo il SI, questa è l'unità di misura della massa, tenendo conto che i prefissi si utilizzano facendo riferimento al grammo.
10) Naturalmente questo ha senso se poi il programma di composizione non tenta di suddividere le parole in sillabe.
11) A questa regola si può aggiungere che, nel caso il nome sia scritto utilizzando solo lettere maiuscole, può essere opportuno limitarsi a indicarlo utilizzando solo l'iniziale maiuscola, lasciando il resto in minuscolo.
12) In generale, non è indispensabile fare alcun tipo di riferimento di questo genere, se lo scopo di ciò che si scrive non è quello di trattare espressamente di questo o quel prodotto.
Dovrebbe essere possibile fare riferimento a questa pagina anche con il nome stile_letterario.html
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