Le problematiche scientifiche
Nel campo delle glaciologia è di grande interesse l'analisi della stratigrafia glaciale. Gli strati conservano infatti, in particolari condizioni, memoria dei parametri climatici e ambientali relativi al periodo in cui si sono formati. Ciascuno strato di ghiaccio corrisponde a un singolo anno - e alcune volte a una singola stagione - e praticamente qualsiasi elemento estraneo contenuto nella neve di quell'anno, inclusi polveri, composti chimici, gas atmosferici e nuclei radioattivi, vi rimane immagazzinato. Scendendo in profondità nei ghiacciai, tramite opportune perforazioni, e in assenza di percolazione di acqua di fusione e di sensibili deformazioni del ghiaccio, è possibile effettuare un vero e proprio viaggio indietro nel tempo che, nel caso delle calotte polari, può spingersi fino a circa 300.000 anni or sono. A titolo d'esempio, studi di questo tipo hanno consentito di monitorare l'evoluzione dell'inquinamento atmosferico a partire dall'inizio dell'era industriale1 (Fig.1), le variazioni della temperatura media terrestre in funzione dell'effetto serra2 e la quantità di fallout radioattivo dovuto ai test nucleari in atmosfera e all'incidente di Chernobyl3(Fig. 2).
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Fig. 1 Evoluzione dell'inquinamento atmosferico |
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Fig. 2 Attività beta in "ice core" |
È comprensibile come, in questo ambito di studi, sia di cruciale importanza riuscire a datare gli strati. Tale datazione può essere effettuata mediante osservazione diretta, oppure attraverso l'identificazione di inquinanti fisici o chimici da associare a particolari eventi, storicamente noti, quali ad esempio le eruzioni vulcaniche. Tutti i metodi fin'ora utilizzati prevedono il prelievo dei campioni e l'esecuzione delle misure in laboratorio, con tutte le difficoltà legate al prelievo, manipolazione, conservazione e trasporto dei campioni. Recentemente è stato proposto un nuovo metodo di datazione dello strato glaciale, che permette misure in situ sulla base delle quali eventualmente scegliere anche i campioni da analizzare in laboratorio4.
Il metodo si collega a tecniche correntemente usate nel campo della fisica nucleare. Esso prevede di utilizzare la presenza di un nuclide radioattivo gamma-emettitore, dovuto alle ricadute radioattive da esplosioni nucleari in aria e a incidenti quali quello della centrale nucleare di Chernobyl, come marker assoluto di tempo.
Nel caso di misure di natura glaciologica, il nuclide più adatto è il Cs-137, a causa della sua lunga vita media (30.17 anni). Introducendo un opportuno rivelatore in fori di carotaggio eseguiti su apparati glaciali e monitorando il segnale a 662 KeV corrispondente all'emissione del Cs-137 in funzione della profondità si individuano in breve tempo lo strato o gli strati d'interesse.
La presenza del Cs-137 può essere individuata in situ anche nei singoli spessori di neve, nel corso di un'analisi stratigrafica del manto nevoso recente. Effettuando questo tipo di analisi in un congruo numero di stazioni opportunamente distribuite si perviene a utili informazioni sulla circolazione atmosferica, oltre che a indicazioni sulla presenza di questo isotopo in atmosfera.
Uno strumento in grado di rivelare il Cs-137 è, tra l'altro, anche in grado d'individuare la presenza di altri gamma-emettitori di origine artificiale di più breve vita media (Ru-106, Sb-125) e quindi di segnalare precocemente la presenza nell'ambiente di eventuali emissioni di inquinanti radioattivi.
Tale metodo è di grande interesse per la comunità glaciologica italiana, che da anni è attiva in questo campo con campagne di misura nazionali e internazionali, alcune delle quali rientrano tra le attività del Progetto Strategico Ev-K2-CNR e tra gli scopi del nuovo Istituto Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica sulla Montagna.
L'interesse per la collettività di queste ricerche
Queste ricerche s'inseriscono nel filone più ampio delle attività di protezione dell'ambiente, su scala globale e locale, dall'inquinamento prodotto dalle attività umane. Tali attività costituiscono attualmente importanti problematiche affrontate dai governi e delle istituzioni a ciò preposte.
In tale ambito la comunità scientifica internazionale, italiana compresa, sta promuovendo azioni di studio in aree remote e/o in alta quota, di preferenza glacializzate e comunque poco antropizzate, al fine principalmente di monitorare e tenere sotto controllo
Le prospettive delle ricerca
Lo strumento sarà utilizzato in collaborazione con nivologi e glaciologi secondo programmi di ricerca già attivi o in fase di sviluppo in ambienti glacializzati anche ad alta e altissima quota (Gran Sasso d'Italia, Monte Rosa, Monte Bianco, Groenlandia, Antartide, ghiacciai Himalayani, etc.). In particolare è previsto il suo utilizzo nel corso della spedizione alpinistico-scientifica “Roma 8000” che si svolgerà nel 2000 in Tibet. La spedizione, che ricade nell'ambito delle attività italiane preparatorie al “2002 Anno Internazionale delle Montagne”, indetto dall'ONU, ed è patrocinata anche dallo stesso INFN, costituirà anche il primo vero test sul campo dell'apparato.
Gli aspetti tecnici
A. Sensibilità, risoluzione ed efficienza
Un rivelatore composto da un cristallo scintillatore di NaI(Tl) accoppiato a un fotomoltiplicatore costituisce il miglior compromesso tra efficienza e risoluzione. Questo tipo di rivelatore mostra un'alta efficienza all'energia di emissione del Cs-137 e una risoluzione sufficiente a discriminare il picco del Cesio da quello a 602 keV emesso dall'isotopo naturale Bi-214, quasi sempre presente in natura.
I test ci hanno consentito di stabilire che un cristallo scintillatore cilindrico di 3” di diametro per 4” di altezza può consentire, anche con livelli di attività molto bassa (frazioni di Bequerel) tempi di acquisizione inferiori all'ora. Tra l'altro, considerando l'ingombro dell'involucro protettivo, un diametro di 3” costituisce la dimensione massima utilizzabile per l'inserimento del rivelatore nelle perforazioni glaciali che usualmente hanno un diametro di 4”. Rivelatori di questo tipo sono stati già utilizzati con successo in una serie di pionieristiche misure a carattere glaciologico realizzate nel 1980 da J.F.Pinglot and M. Pourchet5. Cristallo scintillatore, fotomoltiplicatore e preamplificatore vanno inseriti in un involucro a tenuta stagna, indispensabile quando di lavora su nevai e in condizioni climatiche non particolarmente rigide.
B. Sorgenti d'energia
L'autonomia energetica è un elemento cruciale in un sistema portatile di questo tipo.
Il basso peso, la possibilità di lavoro in alta quota, le basse temperature e la robustezza, sono tutti parametri che abbiamo preso in considerazione.
Dopo una serie di test siamo giunti alla conclusione che la migliore alimentazione è costituita da un sistema di batterie ricaricabili e di pannelli fotovoltaici.
Il campo delle batterie è in rapida evoluzione e di grande interesse tecnologico e applicativo.
Tra i numerosi tipi di batterie presenti sul mercato le più adatte alla nostra applicazione sembrano essere le celle all'Argento-Zinco che associano a un ottimo rapporto capacità/peso, una buona resa fino a temperature di circa - 25° C.
Un'altra possibilità è costituita dalle batterie agli ioni di Litio che lavorano a temperature anche minori, ma offrono, a parità di peso, capacità minori e un numero più basso di cicli di lavoro.
Una scelta definitiva potrà essere effettuata solo dopo un'accurata sperimentazione sul terreno. In ogni caso, la sperimentazione in condizioni ambientali “estreme” di nuovi tipi di batterie, costituisce una delle implicazioni tecnologiche del presente progetto.
Altri tipi di batterie, come quelle al piombo o al gel, più pesanti, ma con maggiore capacità, potranno essere prese in considerazione nelle applicazioni in cui non risulti cruciale l'elemento portatilità, come, a esempio, nelle perforazioni artiche.
Tra le celle fotovoltaiche, particolarmente interessanti sono quelle all'Arseniuro di Gallio - utilizzate nell'industria spaziale – che consentono efficienze fino al 100% superiori rispetto a quelle di Silicio. Tuttavia i loro costi sono attualmente proibitivi, circa due ordini di grandezza superiori rispetto alle celle di Silicio (si passa da circa 2 ML/100 W a oltre 200 ML/100 W !). Prevediamo quindi di utilizzare celle costituite da quest'ultimo materiale, anche se non escludiamo la possibilità, anche in questo campo, di sperimentare altre tecnologie.
La potenza stimata necessaria per il funzionamento del nostro apparato è compresa tra i 100 e i 150 W (in funzione della temperatura esterna). Ciò implica la necessità, tenendo conto delle possibili condizioni climatiche e d'irraggiamento solare, di disporre tra 1 e 2 m2 di pannelli fotovoltaici. La scelta è necessariamente ristretta a sistemi leggeri, portatili e modulari.
E' stata anche valutata la possibilità di utilizzare generatori eolici portatili. Questa possibilità risulta valida in condizione di venti sostenuti e alte potenze necessarie, e potrebbe risultare una valida alternativa ai pannelli in particolari condizioni climatiche (Fig. 3)
C. Basse temperature
![]() Fig. 4. Risposta in temperatura dello NaI(Tl) e di altri materiali scintillatori. |
Le particolari condizioni di utilizzo possono implicare forti escursioni termiche e, in alcuni casi (perforazioni artiche) temperature fino a –50°C. Il controllo termico del rivelatore e' indispensabile in quanto le variazioni di temperatura influenzano sia l'efficienza che la risoluzione (Fig.4). Inoltre una forte e rapida variazione di temperatura può comportare danni meccanici permanenti.Per questi motivi il rivelatore è avvolto da fasce riscaldanti, monitorato da sensori termici e racchiuso in un ulteriore involucro di coibentazione, che limita al massimo la dispersione di calore verso l'esterno. Le fasce riscaldanti e i sensori sono opportunamente collegati da un circuito di feedback che mantiene costante la temperatura del rivelatore. |
Riferimenti
Appendice: le difficoltà di una ricerca sul campo